Ho visto negli ultimi tempi, sui social network, sui blog, per lo più in forma anonima, comparire attacchi e insinuazioni sul lavoro e – cosa davvero sgradevole- sulla persona di Franco Capelletti.
Per questo mi è venuto l’impulso di scrivere e lasciare la mia testimonianza. Non per una difesa d’ufficio (non faccio l’avvocato difensore e Franco è in grado di farlo benissimo da solo), né per questioni “politiche”, che alla mia età sono fuori dal mio orizzonte. Ho avvertito, pittosto, l’esigenza di proporre considerazioni che vengono da lontano fino ai giorni nostri e, soprattutto per una questione di metodo che riguarda le relazioni che debbono improntare i nostri rapporti e il modo di discutere e confrontarci sulla nostra disciplina e su ciò che occorre per preservarla e rilanciarla.
Se al posto della passione (anche animata e animosa) e del reciproco rispetto si introduce il virus dell’insinuazione, della denigrazione personale, il judo vivrà tempi grami e un futuro nebuloso. C’è infine una questione di memoria: di ciò che eravamo e ciò che siamo. Di ricordare quando faticavamo a trovare un dojo dove poter praticare, di quando ci accontentavamo di partecipare alle competizioni internazionali e esultavamo al passaggio del primo o secondo turno. Di quando i viaggi erano lunghi e faticosi da una città all’altra, negli intercity che facevano cento fermate e dove si passava la notte per risparmiare i soldi della trasferta. Negare la memoria di ciò significa recidere le nostre radici, e, dunque, dimenticare la passione che ha animato tanti e ancora tanti di noi, senza la quale oggi non saremmo qui.
Franco Capelletti ancora me lo ricordo al tempo del primo incarico di Direttore Tecnico. Era il tempo nel quale aveva creato a Brescia, in una piccola provincia, un gruppo straordinario di giovani atleti destinati a competere, prima in Italia e poi all’estero, in alternativa ai gruppi militari che andavano per la maggiore. Era la "Forza e Costanza" di Ezio Gamba, ma non solo. Fu quell’esempio a motivare tanti di noi a Roma a fare altrettanto: con Ornello Vignola, Alfredo Monti, Nando Tavolucci e tanti ancora. E così anche a Napoli, Milano, Monza, Torino, Trieste e Messina.
E’ per questo che non provammo invidia, ma anzi sollievo, quando l’avvocato Ceracchini gli conferì l’incarico di Direttore Tecnico per risollevare un settore tecnico allo sbando nel quale si trovava ai tempi della vecchia Presidenza di Zanelli. Un'ottima persona che aveva il torto di considerare quel ruolo un compito marginale facendo a tempo pieno il Sindaco di una città ligure.
Accadde così che i vertici del settore Judo decisero di rimuovere tutto il vecchio staff e vedere se era il caso di proporre qualcosa di nuovo.
In quel periodo si approssimavano le Olimpiadi di Mosca e già si paventava il boicottaggio di tutti i paesi dell’area Nato verso la manifestazione dell’Unione Sovietica.
Tutti i gruppi militari ebbero l’ordine dal Governo Italiano di non partecipare con i loro atleti alla competizione, ordine dato dallo stesso Governo Nazionale.
Ovviamente questo chiudeva in maniera totale la possibilità di partecipazione della maggior parte degli atleti alle competizioni al contrario del CONI che si decise per la partecipazione degli atleti civili.
Un dramma per i nostri atleti, tutti militari: Mariani, delle Fiamme Gialle, fresco Campione Europeo e bronzo a Montreal, Gamba e Rosati dei Carabinieri, Vecchi e Daminelli ancora delle Fiamme Gialle.
Fu così che Capelletti convinse Gamba a rassegnare le dimissioni dal gruppo militare e assicurarsi la partecipazione di Mosca ’80.
Da quella decisione scaturì l’oro di Ezio e fu il trionfo per tutto il movimento Judoistico Italiano. Anche nella successiva Olimpiade quella di Los Angeles ’84 Gamba conquistò la medaglia d’argento. Sono gli anni che vedono poi affermarsi la figura di Matteo Pellicone, che, pur provenendo dalla lotta, intuisce le potenzialità del judo non solo all’interno della Federazione ma nei confronti dell’intero movimento olimpico italiano.
Non nego che quel successo aprì a Franco la possibilità di emergere sia in campo Nazionale che in quello Internazionale.
In campo internazionale Capelletti ha ricoperto l’incarico di Vicepresidente dell’Unione Europea di Judo. Egli è stato inserito dal Presidente Vizer nel gruppo dei “famosi” il Kodokan di Tokio gli ha riconosciuto il 9° dan. E’ in questa veste che ha acquisito autorevolezza e stima da parte degli altri partner internazionali, un patrimonio che si è rivelato utile per tutto il nostro movimento e che ci ha tolto da quella situazione di provincialismo e di separazione dal quale eravamo partiti.
Oggi Franco è Vicepresidente federale. Si è assunto l’onere e la responsabilità di guidare la difficile transizione seguita alla scomparsa di Matteo Pellicone. Conoscendolo so quanto ne avrebbe fatto a meno. Per lui la scomparsa di Matteo è stato un dramma nel dramma. Ma so anche quanto fosse preoccupato che in un momento così difficile si aprisse una stagione di competizione politica, di rivalità personali e d’incertezza sul futuro.
In fondo avrebbe potuto starsene tranquillo nell’alveo delle istituzioni internazionali dove è oramai conosciuto e riconosciuto, e lasciare il movimento italiano al proprio destino.
Per questo mi amareggiano gli attacchi di questi mesi, perché contraddicono una vecchia massima di tanti di noi, secondo la quale solo “chi non fa, non sbaglia”.
Con Franco si può anche non essere d’accordo, so che non pretende l’aura dell’infallibilità, e che per questo è disposto ad ascoltare e discutere, provare a convincerti e ad essere convinto. A patto del riconoscimento della reciproca buona fede. E della passione per il judo. Senza le quali non c’è memoria e neanche speranza per il futuro.
Alberto Di Francia
PS: queste considerazioni sono ovviamente personali e scritte di getto, senza averne discusso con nessuno. Tantomeno con Franco Capelletti che, sono sicuro, mi avrebbe detto di lasciar perdere.
Per questo mi è venuto l’impulso di scrivere e lasciare la mia testimonianza. Non per una difesa d’ufficio (non faccio l’avvocato difensore e Franco è in grado di farlo benissimo da solo), né per questioni “politiche”, che alla mia età sono fuori dal mio orizzonte. Ho avvertito, pittosto, l’esigenza di proporre considerazioni che vengono da lontano fino ai giorni nostri e, soprattutto per una questione di metodo che riguarda le relazioni che debbono improntare i nostri rapporti e il modo di discutere e confrontarci sulla nostra disciplina e su ciò che occorre per preservarla e rilanciarla.
Se al posto della passione (anche animata e animosa) e del reciproco rispetto si introduce il virus dell’insinuazione, della denigrazione personale, il judo vivrà tempi grami e un futuro nebuloso. C’è infine una questione di memoria: di ciò che eravamo e ciò che siamo. Di ricordare quando faticavamo a trovare un dojo dove poter praticare, di quando ci accontentavamo di partecipare alle competizioni internazionali e esultavamo al passaggio del primo o secondo turno. Di quando i viaggi erano lunghi e faticosi da una città all’altra, negli intercity che facevano cento fermate e dove si passava la notte per risparmiare i soldi della trasferta. Negare la memoria di ciò significa recidere le nostre radici, e, dunque, dimenticare la passione che ha animato tanti e ancora tanti di noi, senza la quale oggi non saremmo qui.
Franco Capelletti ancora me lo ricordo al tempo del primo incarico di Direttore Tecnico. Era il tempo nel quale aveva creato a Brescia, in una piccola provincia, un gruppo straordinario di giovani atleti destinati a competere, prima in Italia e poi all’estero, in alternativa ai gruppi militari che andavano per la maggiore. Era la "Forza e Costanza" di Ezio Gamba, ma non solo. Fu quell’esempio a motivare tanti di noi a Roma a fare altrettanto: con Ornello Vignola, Alfredo Monti, Nando Tavolucci e tanti ancora. E così anche a Napoli, Milano, Monza, Torino, Trieste e Messina.
E’ per questo che non provammo invidia, ma anzi sollievo, quando l’avvocato Ceracchini gli conferì l’incarico di Direttore Tecnico per risollevare un settore tecnico allo sbando nel quale si trovava ai tempi della vecchia Presidenza di Zanelli. Un'ottima persona che aveva il torto di considerare quel ruolo un compito marginale facendo a tempo pieno il Sindaco di una città ligure.
Accadde così che i vertici del settore Judo decisero di rimuovere tutto il vecchio staff e vedere se era il caso di proporre qualcosa di nuovo.
In quel periodo si approssimavano le Olimpiadi di Mosca e già si paventava il boicottaggio di tutti i paesi dell’area Nato verso la manifestazione dell’Unione Sovietica.
Tutti i gruppi militari ebbero l’ordine dal Governo Italiano di non partecipare con i loro atleti alla competizione, ordine dato dallo stesso Governo Nazionale.
Ovviamente questo chiudeva in maniera totale la possibilità di partecipazione della maggior parte degli atleti alle competizioni al contrario del CONI che si decise per la partecipazione degli atleti civili.
Un dramma per i nostri atleti, tutti militari: Mariani, delle Fiamme Gialle, fresco Campione Europeo e bronzo a Montreal, Gamba e Rosati dei Carabinieri, Vecchi e Daminelli ancora delle Fiamme Gialle.
Fu così che Capelletti convinse Gamba a rassegnare le dimissioni dal gruppo militare e assicurarsi la partecipazione di Mosca ’80.
Da quella decisione scaturì l’oro di Ezio e fu il trionfo per tutto il movimento Judoistico Italiano. Anche nella successiva Olimpiade quella di Los Angeles ’84 Gamba conquistò la medaglia d’argento. Sono gli anni che vedono poi affermarsi la figura di Matteo Pellicone, che, pur provenendo dalla lotta, intuisce le potenzialità del judo non solo all’interno della Federazione ma nei confronti dell’intero movimento olimpico italiano.
Non nego che quel successo aprì a Franco la possibilità di emergere sia in campo Nazionale che in quello Internazionale.
In campo internazionale Capelletti ha ricoperto l’incarico di Vicepresidente dell’Unione Europea di Judo. Egli è stato inserito dal Presidente Vizer nel gruppo dei “famosi” il Kodokan di Tokio gli ha riconosciuto il 9° dan. E’ in questa veste che ha acquisito autorevolezza e stima da parte degli altri partner internazionali, un patrimonio che si è rivelato utile per tutto il nostro movimento e che ci ha tolto da quella situazione di provincialismo e di separazione dal quale eravamo partiti.
Oggi Franco è Vicepresidente federale. Si è assunto l’onere e la responsabilità di guidare la difficile transizione seguita alla scomparsa di Matteo Pellicone. Conoscendolo so quanto ne avrebbe fatto a meno. Per lui la scomparsa di Matteo è stato un dramma nel dramma. Ma so anche quanto fosse preoccupato che in un momento così difficile si aprisse una stagione di competizione politica, di rivalità personali e d’incertezza sul futuro.
In fondo avrebbe potuto starsene tranquillo nell’alveo delle istituzioni internazionali dove è oramai conosciuto e riconosciuto, e lasciare il movimento italiano al proprio destino.
Per questo mi amareggiano gli attacchi di questi mesi, perché contraddicono una vecchia massima di tanti di noi, secondo la quale solo “chi non fa, non sbaglia”.
Con Franco si può anche non essere d’accordo, so che non pretende l’aura dell’infallibilità, e che per questo è disposto ad ascoltare e discutere, provare a convincerti e ad essere convinto. A patto del riconoscimento della reciproca buona fede. E della passione per il judo. Senza le quali non c’è memoria e neanche speranza per il futuro.
Alberto Di Francia
PS: queste considerazioni sono ovviamente personali e scritte di getto, senza averne discusso con nessuno. Tantomeno con Franco Capelletti che, sono sicuro, mi avrebbe detto di lasciar perdere.