Nel precedente articolo avevo parlato dei doveri e del ruolo degli arbitri. Credo di aver suscitato qualche interesse e mi permetto, quindi, di soffermarmi sul ruolo dei Comitati Regionali, croce e delizia per chiunque nutra passione per il judo e intenda svolgerlo in una realtà organizzata, oltre che ordinata.
Il Presidente del Comitato regionale.
Il Presidente di un Comitato Regionale ha il compito più delicato di tutta la struttura periferica perché oltre a dover vigilare e quindi dare il proprio parere di assenso o dissenso sulle nomine proposte dal vicepresidente sugli organi tecnici che entrano a far parte della struttura tecnica organizzativa del settore, ha il compito di vigilare sul comportamento di tutti i membri del comitato nei confronti dell’Associazione di cui fanno parte e quindi dei dirigenti dei tecnici e degli atleti.
Chiaramente tale compito prevede che non ci sia nessuna anomalia o “conflitto di interessi” (termine ormai abusato in politica) tra i dirigenti e le società di appartenenza.
Esso deve ricordare che essere il presidente di un Comitato Regionale comporta il dovere di essere il presidente di tutti nessuno escluso.
La parte “morale” di questi compiti è la più importante e delicata, perché salvaguarda tutti gli appartenenti da possibili conflitti tra dirigenti di settore o tra dirigenti e base. Spesso un buon dirigente utilizza la ‘moral suasion’, più che la lettera del regolamento per attenuare conflitti, riportare concordia, indirizzare tutti gli attori del movimento verso gli obiettivi comuni. Ciò non significa passare sopra i regolamenti; anzi, proprio il ruolo di garanzia che è stato assegnato dallo statuto federale ai presidenti fa di essi i garanti delle regole e del loro rispetto.
Il Presidente di un Comitato Regionale non può e non deve, quindi, essere relegato al semplice ruolo di passacarte o di personalità delegata alle premiazioni.
Il Presidente di un Comitato Regionale vigila che di quando in quando venga convocata una riunione delle Associazioni di ciascun settore per ascoltarne i pareri e le proposte.
Il Vicepresidente
Metto in rilievo il titolo di vicepresidente di settore perché qualche vicepresidente ignora o finge di ignorare che la qualifica che gli compete è quella di vicepresidente e non quella di presidente di settore.
Le opportunità che sono nelle mani dei “vicepresidente” sono infinite perché oltre alla ordinaria amministrazione, vedi l’organizzazione delle qualificazioni per le finali dei campionati nazionali, questi è chiamato a organizzare la vita sportiva di una intera regione e quindi miglioramenti tecnici, organizzativi e di una convivenza sportiva tra le Associazione che ne fanno parte e il comitato stesso.
Un vicepresidente di Comitato Regionale ha il dovere di essere “super partes” nei confronti di tutto il movimento.
Comprendo che fin qui quello che ho descritto sembra essere il normale statuto di cosa dovrebbero essere i nostri organismi periferici. Sottolineo il termine normale, in contrapposizione all’eccezionalità dei tempi che viviamo.
Sono tempi di crisi economica che hanno investito tutti i settori dello Sport italiano e, dunque, delle sue istituzioni. I tagli economici si fanno sentire e hanno costretto l’intero movimento sportivo italiano a farci i conti. Come in una piramide, i tagli partono dall’alto, vanno verso il basso e tornano fatalmente su.
Riduzioni di personale, tagli ai budget delle nazionali, meno occasioni e vetrine per farsi conoscere, meno sponsor. A questi fanno da riscontro, verso il basso, diminuzione di tesserati, società anche antiche che chiudono i battenti o che preferiscono attrezzarsi alle vacche magre riducendo la partecipazione accontentandosi di un’attività marginale. Accade nell’economia nazionale, fatale che accada anche da noi.
A questo va aggiunto che tra crisi demografica e esplosione di fenomeni nuovi (come ad esempio al fitness per le fasce adulte) e stili di vita complessi, la competizione di altre discipline, prima ininfluente, abbia inciso molto per una tendenza che è costante negli anni verso la riduzione dei praticanti.
Ma si tratta di un discorso lungo e complesso da affrontare in un altro momento. Aggiungo per onestà intellettuale che sarebbe ingenuo, oltre che ingiusto, voler addebitare, oggi, a qualsiasi istituzione sportiva – non importa se nazionale o locale – il compito o la responsabilità di arrestare e invertire una tendenza di tali proporzioni.
Ciò non significa che non si possa fare nulla. Le strutture locali – in questo caso i Comitati Regionali – vivono da troppo tempo come se la crisi fosse questione estranea da osservare come se non ci riguardasse da vicino. Al contrario ai problemi si aggiungono alcune degenerazioni che aggiungono difficoltà alle difficoltà. Le assemblee quadriennali, da occasioni elettorali limitate nel tempo divengono una campagna elettorale permanente finendo per avvelenare il clima e condizionare tutto e tutti. In una logica dell’amico/nemico (mi hai votato/non mi hai votato) l’intero movimento vive di micro conflitti perenni che arrivano a condizionare dirigenti, accompagnatori, arbitri, presidenti di giuria e persino gli addetti alla vigilanza.
Nel frattempo mentre la crisi economica mette alle strette le società e le famiglie, gli abbandoni avvengono nel silenzio e non come una sconfitta collettiva da scongiurare o evitare.
Eppure anche senza risorse si potrebbe ancora fare molto. Rivolgersi in forma non episodica al mondo della scuola, ancora inesplorato e ricco di occasioni. Provarsi a promuovere la pratica sportiva attraverso le istituzioni locali, anch’esse alla affannosa ricerca di occasioni di visibilità. Per non parlare dei nuovi strumenti di comunicazione (i social network) paradossalmente frequentatissimi dai nostri iscritti, eppure fatalmente ignorati da una generazione cresciuta con le vecchie ‘Olivetti lettera 22’ (non è un’accusa, ovviamente, ma una constatazione).
E’ qui che i nostri vecchi Comitati regionali e i loro altrettanto vecchi Comitati di Settore, andrebbero riformati. Se non nelle strutture (dove comunque qualcosa andrebbe fatto), almeno nello spirito.
Per non fare come in quei racconti nei quali se una torta si dimezza, si finisce per tagliare fette più sottili da distribuire, invece di pensare a farla tornare più grande, nell’interesse di tutti.
IL RONIN - A.D.F.
Il Presidente del Comitato regionale.
Il Presidente di un Comitato Regionale ha il compito più delicato di tutta la struttura periferica perché oltre a dover vigilare e quindi dare il proprio parere di assenso o dissenso sulle nomine proposte dal vicepresidente sugli organi tecnici che entrano a far parte della struttura tecnica organizzativa del settore, ha il compito di vigilare sul comportamento di tutti i membri del comitato nei confronti dell’Associazione di cui fanno parte e quindi dei dirigenti dei tecnici e degli atleti.
Chiaramente tale compito prevede che non ci sia nessuna anomalia o “conflitto di interessi” (termine ormai abusato in politica) tra i dirigenti e le società di appartenenza.
Esso deve ricordare che essere il presidente di un Comitato Regionale comporta il dovere di essere il presidente di tutti nessuno escluso.
La parte “morale” di questi compiti è la più importante e delicata, perché salvaguarda tutti gli appartenenti da possibili conflitti tra dirigenti di settore o tra dirigenti e base. Spesso un buon dirigente utilizza la ‘moral suasion’, più che la lettera del regolamento per attenuare conflitti, riportare concordia, indirizzare tutti gli attori del movimento verso gli obiettivi comuni. Ciò non significa passare sopra i regolamenti; anzi, proprio il ruolo di garanzia che è stato assegnato dallo statuto federale ai presidenti fa di essi i garanti delle regole e del loro rispetto.
Il Presidente di un Comitato Regionale non può e non deve, quindi, essere relegato al semplice ruolo di passacarte o di personalità delegata alle premiazioni.
Il Presidente di un Comitato Regionale vigila che di quando in quando venga convocata una riunione delle Associazioni di ciascun settore per ascoltarne i pareri e le proposte.
Il Vicepresidente
Metto in rilievo il titolo di vicepresidente di settore perché qualche vicepresidente ignora o finge di ignorare che la qualifica che gli compete è quella di vicepresidente e non quella di presidente di settore.
Le opportunità che sono nelle mani dei “vicepresidente” sono infinite perché oltre alla ordinaria amministrazione, vedi l’organizzazione delle qualificazioni per le finali dei campionati nazionali, questi è chiamato a organizzare la vita sportiva di una intera regione e quindi miglioramenti tecnici, organizzativi e di una convivenza sportiva tra le Associazione che ne fanno parte e il comitato stesso.
Un vicepresidente di Comitato Regionale ha il dovere di essere “super partes” nei confronti di tutto il movimento.
Comprendo che fin qui quello che ho descritto sembra essere il normale statuto di cosa dovrebbero essere i nostri organismi periferici. Sottolineo il termine normale, in contrapposizione all’eccezionalità dei tempi che viviamo.
Sono tempi di crisi economica che hanno investito tutti i settori dello Sport italiano e, dunque, delle sue istituzioni. I tagli economici si fanno sentire e hanno costretto l’intero movimento sportivo italiano a farci i conti. Come in una piramide, i tagli partono dall’alto, vanno verso il basso e tornano fatalmente su.
Riduzioni di personale, tagli ai budget delle nazionali, meno occasioni e vetrine per farsi conoscere, meno sponsor. A questi fanno da riscontro, verso il basso, diminuzione di tesserati, società anche antiche che chiudono i battenti o che preferiscono attrezzarsi alle vacche magre riducendo la partecipazione accontentandosi di un’attività marginale. Accade nell’economia nazionale, fatale che accada anche da noi.
A questo va aggiunto che tra crisi demografica e esplosione di fenomeni nuovi (come ad esempio al fitness per le fasce adulte) e stili di vita complessi, la competizione di altre discipline, prima ininfluente, abbia inciso molto per una tendenza che è costante negli anni verso la riduzione dei praticanti.
Ma si tratta di un discorso lungo e complesso da affrontare in un altro momento. Aggiungo per onestà intellettuale che sarebbe ingenuo, oltre che ingiusto, voler addebitare, oggi, a qualsiasi istituzione sportiva – non importa se nazionale o locale – il compito o la responsabilità di arrestare e invertire una tendenza di tali proporzioni.
Ciò non significa che non si possa fare nulla. Le strutture locali – in questo caso i Comitati Regionali – vivono da troppo tempo come se la crisi fosse questione estranea da osservare come se non ci riguardasse da vicino. Al contrario ai problemi si aggiungono alcune degenerazioni che aggiungono difficoltà alle difficoltà. Le assemblee quadriennali, da occasioni elettorali limitate nel tempo divengono una campagna elettorale permanente finendo per avvelenare il clima e condizionare tutto e tutti. In una logica dell’amico/nemico (mi hai votato/non mi hai votato) l’intero movimento vive di micro conflitti perenni che arrivano a condizionare dirigenti, accompagnatori, arbitri, presidenti di giuria e persino gli addetti alla vigilanza.
Nel frattempo mentre la crisi economica mette alle strette le società e le famiglie, gli abbandoni avvengono nel silenzio e non come una sconfitta collettiva da scongiurare o evitare.
Eppure anche senza risorse si potrebbe ancora fare molto. Rivolgersi in forma non episodica al mondo della scuola, ancora inesplorato e ricco di occasioni. Provarsi a promuovere la pratica sportiva attraverso le istituzioni locali, anch’esse alla affannosa ricerca di occasioni di visibilità. Per non parlare dei nuovi strumenti di comunicazione (i social network) paradossalmente frequentatissimi dai nostri iscritti, eppure fatalmente ignorati da una generazione cresciuta con le vecchie ‘Olivetti lettera 22’ (non è un’accusa, ovviamente, ma una constatazione).
E’ qui che i nostri vecchi Comitati regionali e i loro altrettanto vecchi Comitati di Settore, andrebbero riformati. Se non nelle strutture (dove comunque qualcosa andrebbe fatto), almeno nello spirito.
Per non fare come in quei racconti nei quali se una torta si dimezza, si finisce per tagliare fette più sottili da distribuire, invece di pensare a farla tornare più grande, nell’interesse di tutti.
IL RONIN - A.D.F.